Nell’articolo, poi, ci si chiede se Roma è pronta ad affrontare un’emergenza sismica, e Faris scrive preoccupato che se sono bastati pochi centimetri di neve a mandare in tilt la città a febbraio, chissà cosa potrebbe succedere in caso di terremoto. “Anche la neve non era attesa e prevista per Roma, nessuno si aspettava che arrivasse, proprio come il terremoto…” conclude Faris.
Per approfondire ulteriormente l’argomento del rischio sismico a Roma, abbiamo contattato Fabrizio Marra,
geologo e ricercatore dell’Ingv, che negli anni ha condotto una serie
di studi specifici sulla sismicità e sul risciho sismico della capitale.
Marra ha esordito dicendoci di considerare l’articolo di Faris sul Time “molto serio ed equilibrato, preciso nei riscontri e condivisibile sulle riflessioni“, e ci ha spiegato che comunque “su
Roma non sono attesi, parlando nello specifico della città, terremoti
forti, di magnitudo comparabile a quella dell’Emilia Romagna nei giorni
scorsi“. “Per Roma – ha infatti aggiunto l’esperto – tra
tutti i posti al mondo, possiamo avere una stima della sismicità
storica più attendibile in assoluto perchè abbiamo dei ‘record’ di quasi
tremila anni, e possiamo ricostruire tutto quello che è successo“.
E allora Marra ci ha spiegato che “nessun
terremoto con epicentro a Roma ha mai avuto magnitudo superiori a 4. Al
massimo, nell’area dei Castelli Romani si può raggiungere magnitudo
4.5, ma non oltre, almeno non è mai successo prima. La sismicità più
specifica sull’area di Roma ci indica questo elemento preciso, come
abbiamo visto anche l’ultima volta che a Roma c’è stato uno sciame
sismico, nel giugno 1995, quando gli epicentri delle scosse furono
concentrati nella zona sud e la magnitudo massima fu di 3.6“.
“La sismicità tipica dell’area romana intesa come Roma città, quindi, è molto moderata” conclude Marra, spiegando che “scosse di questo tipo non possono provocare danni seri al patrimonio edilizio, a meno di situazioni di particolare vulnerabilità degli edifici“. E qui entriamo in un argomento che è fondamentale in tutta la vicenda sismica. “E’ un problema – continua infatti l’esperto dell’Ingv – generale, non solo di Roma ma di tutt’Italia e di tutto il mondo. La gente non muore per il terremoto in sè, ma per le costruzioni e per come sono costruiti gli edifici. Il problema più serio di Roma è che non si sa assolutamente, dal dopoguerra in poi, come si comporterebbero gli edifici in caso di terremoti al limite della magnitudo attesa per questa zona“.
“La sismicità tipica dell’area romana intesa come Roma città, quindi, è molto moderata” conclude Marra, spiegando che “scosse di questo tipo non possono provocare danni seri al patrimonio edilizio, a meno di situazioni di particolare vulnerabilità degli edifici“. E qui entriamo in un argomento che è fondamentale in tutta la vicenda sismica. “E’ un problema – continua infatti l’esperto dell’Ingv – generale, non solo di Roma ma di tutt’Italia e di tutto il mondo. La gente non muore per il terremoto in sè, ma per le costruzioni e per come sono costruiti gli edifici. Il problema più serio di Roma è che non si sa assolutamente, dal dopoguerra in poi, come si comporterebbero gli edifici in caso di terremoti al limite della magnitudo attesa per questa zona“.
Marra, però, ci spiega
che il principale rischio sismico di Roma non viene dai Castelli Romani o
dalla città in sè, ma da più lontano, da quell’Appennino centrale in
cui possono verificarsi scosse molto molto più forti, con ripercussioni
anche sulla Capitale.
“Già il terremoto di tre anni fa a L’Aquila è stato molto avvertito in città, ma non ha provocato danni. Dopotutto era di magnitudo 6. Il problema vero è che sull’Appennino centrale possono verificarsi terremoti molto più forti, fino a magnitudo 7 com’è accaduto nel 1915 ad Avezzano. In quell’occasione a Roma non ci furono morti, ma molti danni distribuiti su gran parte della città, soprattutto in alcune zone che poi abbiamo individuato come le valli alluvionali“.
Proprio quello delle valli alluvoinali è il più grande rischio sismico di Roma: “dagli anni ’80 in poi – continua Marra – dopo il terremoto di Messico City, si capì che questi terreni erano in grado di amplificare lo scuotimento del suolo in occasione di terremoti anche lontani. Molte zone di Roma sono costruite sui terreni alluvionali, a partire dalla valle del Tevere che va da Prati a piazza Venezia fino a San Paolo ed è larga oltre 2 chilometri, fino a una serie di valli affluenti da est, non riconoscibili dalla morfologia perchè ormai completamente urbanizzate, come la valle della Caffarella in corrispondenza del terminal “Ostiense”, la valle di Grotta Perfettta e il Viale Giustiniano Imperatore. E poi ancora la Valle di Tre Fonrtna e la Valle di Vallerano. Queste zone sono state intensamente urbanizzate soprattutto negli ultimi 20-30 anni. Non possiamo purtroppo sapere come si comporterebbero tutti gli edifici lì costruiti, perchè non conosciamo le caratteristiche costruittive degli stessi edifici. Circa 10 anni fa a Roma si era previsto di fare un “Fascicolo dell’Edificio”, ma poi i buoni propositi, come spesso accade sono naufragati e non è mai stato fatto. Sostanzialmente il rischio sismico, a Roma come in tutt’Italia, dipende dal fatto che non siamo in grado di fare la stima della vulnerabilità degli edifici, anche se sappiamo quali aree possono amplificare lo scuotimento. Noi possiamo fare una mappatura dei terreni che possono amplificare lo scuotimento, ma manca la parte ingegneristica e strutturistica che è quella più importante, i morti sono sempre causati dalle modalità costruttive degli edifici, come abbiamo visto in Emilia Romagna dove sono crollate sì case antiche, ma anche capannoni modernissimi. Prima di mettere in atto la normativa antisismica bisognerebbe stimare lo scuotimento atteso, a Roma manca questo passaggio intermedio. Nella capitale alcune zone sono classificate come zone ‘A’, altre come zone ’2B’, riclassificate di recente, ma è una divisione fatta per municipi, non tiene conto della geologia, e francamente non saprei dire nemmeno esattamente qual’è il criterio con cui è stata fatta questa zonazione, e comunque non è sufficiente perchè il problema serio sono le modalità di costruzioni degli edifici. Alcuni palazzi o altri potrebbero risentire delle amplificazioni in modo più o meno significativo, l’incognita di Roma è le modalità con cui si è costruito“.
“Già il terremoto di tre anni fa a L’Aquila è stato molto avvertito in città, ma non ha provocato danni. Dopotutto era di magnitudo 6. Il problema vero è che sull’Appennino centrale possono verificarsi terremoti molto più forti, fino a magnitudo 7 com’è accaduto nel 1915 ad Avezzano. In quell’occasione a Roma non ci furono morti, ma molti danni distribuiti su gran parte della città, soprattutto in alcune zone che poi abbiamo individuato come le valli alluvionali“.
Proprio quello delle valli alluvoinali è il più grande rischio sismico di Roma: “dagli anni ’80 in poi – continua Marra – dopo il terremoto di Messico City, si capì che questi terreni erano in grado di amplificare lo scuotimento del suolo in occasione di terremoti anche lontani. Molte zone di Roma sono costruite sui terreni alluvionali, a partire dalla valle del Tevere che va da Prati a piazza Venezia fino a San Paolo ed è larga oltre 2 chilometri, fino a una serie di valli affluenti da est, non riconoscibili dalla morfologia perchè ormai completamente urbanizzate, come la valle della Caffarella in corrispondenza del terminal “Ostiense”, la valle di Grotta Perfettta e il Viale Giustiniano Imperatore. E poi ancora la Valle di Tre Fonrtna e la Valle di Vallerano. Queste zone sono state intensamente urbanizzate soprattutto negli ultimi 20-30 anni. Non possiamo purtroppo sapere come si comporterebbero tutti gli edifici lì costruiti, perchè non conosciamo le caratteristiche costruittive degli stessi edifici. Circa 10 anni fa a Roma si era previsto di fare un “Fascicolo dell’Edificio”, ma poi i buoni propositi, come spesso accade sono naufragati e non è mai stato fatto. Sostanzialmente il rischio sismico, a Roma come in tutt’Italia, dipende dal fatto che non siamo in grado di fare la stima della vulnerabilità degli edifici, anche se sappiamo quali aree possono amplificare lo scuotimento. Noi possiamo fare una mappatura dei terreni che possono amplificare lo scuotimento, ma manca la parte ingegneristica e strutturistica che è quella più importante, i morti sono sempre causati dalle modalità costruttive degli edifici, come abbiamo visto in Emilia Romagna dove sono crollate sì case antiche, ma anche capannoni modernissimi. Prima di mettere in atto la normativa antisismica bisognerebbe stimare lo scuotimento atteso, a Roma manca questo passaggio intermedio. Nella capitale alcune zone sono classificate come zone ‘A’, altre come zone ’2B’, riclassificate di recente, ma è una divisione fatta per municipi, non tiene conto della geologia, e francamente non saprei dire nemmeno esattamente qual’è il criterio con cui è stata fatta questa zonazione, e comunque non è sufficiente perchè il problema serio sono le modalità di costruzioni degli edifici. Alcuni palazzi o altri potrebbero risentire delle amplificazioni in modo più o meno significativo, l’incognita di Roma è le modalità con cui si è costruito“.
Marra poi ribadisce che per Roma “il
principale rischio sismico viene dall’Appennino: quando forti
terremoti, di magnitudo 7, colpiscono l’area al confine tra Lazio e
Abruzzo, anche Roma ne risente gravemente. Nel 1915 per fortuna non è
successo nulla di gravissimo, ma Roma non era com’è oggi. Oggi è molto
più amplificata proprio su quei terreni alluvionali e non consolidati
che amplificano lo scuotimento del suolo. Proprio in quelle zone, il
terremoto di L’Aquila è stato sentito in modo più significativo che
altrove, ed era un magnitudo 6. Secondo me bisognerebbe valutare proprio
questo aspetto sugli edifici, come ho già spiegato, per stare più
tranquilli. Pensate che sul Viale Giustiniano Imperatore qualche anno fa
alcuni edifici costruiti male, con fondazioni inadeguate per quei
terreni inconsolidati perchè alluvoinali, si sono addirittura inclinati e
alcune persone sono state evacuate dalla loro abitazione. Nacque una
cabina di regia per studiare gli eventuali interventi a compere, e noi
come Ingv ci eravamo proposti per fare gratuitamente delle indagini in
quanto ci interessava capire cosa succedeva su quei terreni, ma ci è
stato impedito perchè qualcuno aveva paura che sarebbero venuti fuori
scenari allarmistici. Noi comunque tra 2003 e 2004 abbiamo, con il
progetto array (vedi immagine a corredo dell’articolo), installato una
rete di sismometri nella zona di Varco San Paolo per studiare queste
amplificazioni lungo i terreni inconsolidati e alluvionali. Abbiamo
messo un sismometro in pozzo e quattro sismometri in superfice. Solo con
ulteriori studi più approfonditi su queste aree e soprattutto sulle
caratteristiche di costruzione, a Roma potremo dormire sonni più
tranquilli…”
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