A partire dal 2001 ad oggi ci sono forti segnali per essere certi che
tutta l’area del Mediterraneo stia diventando più attiva sia dal punto
di vista sismico che vulcanico rispetto al recente passato.
Questa storia comincia sull’Etna nel 2001 l’analisi chimica dei campioni
di magma emessi dall’ultima eruzione del 2001 ha dimostrato la presenza
di un minerale che non era presente sulla superficie terrestre da
oltre 15.000 anni.
Mentre l’anno successivo anche il sistema vulcanico di Panarea,che non
ha attività eruttive da 10.000 anni ha dato segnali di evidente
risveglio.
L’area vulcanica di Panarea sembrava spenta ma le rivelazioni oggi sono
una conferma, dopo gli eventi del 2002, che invece è ben attiva.
L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, infatti, riferisce che
il vulcano Panarea “si deforma” con variazioni di “alcuni millimetri”
l’anno in senso orizzontale e verticale, ma e’ gia’ dal 2002 che gli
scienziati hanno verificato che il vulcano che sembrava tranquillo non
era affatto spento.
In quella notte del novembre 2002, dopo un piccolo sciame sismico di
bassa magnitudo rilevato solo dal sismografo installato sull’isola di
Panarea, i ricercatori si sono accorti che l’area vulcanica era ancora
ben attiva.
Quella notte del 2002, si verifico’, ricorda l’Ingv, “un’intensa
attivita’ di degassamento in prossimita’ degli isolotti di Lisca Bianca e
Bottaro. L’attivita’ esalativa ha avuto inizio con 5 zone di forte
emissione gassosa a profondita’ variabili da 8 fino a circa 30 metri.
L’emissione di gas e’ stata cosi’ intensa che l’odore di acido
solfidrico (H2S) era percettibile a grandi distanze”. “L’effetto
visibile il giorno dopo -ricordano ancora gli scienziati- era il
ribollire dell’acqua di mare in prossimita’ dell’isolotto di Bottaro,
che rimuoveva un’enorme quantita’ di sedimento evidenziato dalla scia
biancastra trascinata via dalla corrente”. “Il cratere che si era
formato, di 20metri per 10 e profondo 7metri, emetteva -proseguono gli
esperti dell’Ingv- un’enorme quantita’ di gas, stimata in alcuni milioni
di metri cubi al giorno, qualche centinaio di volte superiore al
normale regime di degassamento di tutta l’area sommersa tra gli isolotti
ad Est di Panarea. Ed il gas emesso era tiepido e non aveva modificato
la temperatura dell’acqua di mare circostante”. Ma oltre al cratere,
ricordano ancora gli scienziati dell’Ingv, “si aprirono fratture sul
fondo tra Bottaro e Lisca Bianca emettendo quantita’ crescenti di gas e
in qualche caso anche acqua calda. L’estendersi in lunghezza delle
fratture e’ proseguito, lentamente, per alcune settimane”. Gli
scienziati hanno eseguito immediatamente “profili verticali di
temperatura per stabilire “se fosse emesso solo gas o anche altri fluidi
idrotermali”. “Le temperature misurate, mostrando valori costanti dalla
superficie fine al fondo, hanno permesso di stabilire subito -spiegano
dall’Ingv- che l’attivita’ era essenzialmente di degassamento in assenza
di fluidi caldi, anche se piccole quantita’ di acqua termale risalivano
assieme al gas”.
Come le altre isole dell’arco eoliano, anche Panarea è la parte
emergente di un vulcano che si sviluppa principalmente sott’acqua fino a
profondità tra -1200 m e -1700 m. La forma del vulcano, nel suo
insieme, è quella di un tronco di cono con la parte sommitale
pianeggiante posta un centinaio di metri sotto il pelo dell’acqua, dalla
quale emergono Panarea, Basiluzzo, Dattilo e altri scogli più piccoli.
La parte emersa dovrebbe essersi costruita, tra 200.000 e 10.000 anni
fa, con i prodotti di eruzioni suddivisibili almeno in tre principali
fasi, denominate stadio di paleo-Panarea, stadio intermedio seguito,
dopo un periodo di inattività, dallo stadio finale.
L’ipotesi che un centro eruttivo potesse trovarsi in corrispondenza
degli scogli a Est dell’isola, si basa sulla disposizione a semicerchio
di Panarelli, Dattilo, Lisca Nera, Bottaro e Lisca Bianca e sulla
presenza all’interno di quest’area di una depressione circolare
interessata da attività fumarolica.
I resti di altri due crateri possono essere riconosciuti sull’isola in
corrispondenza di Cala Bianca e tra Scoglio La Nave e Punta Scritta, sul
lato Nord-occidentale della costa.
Passiamo all’anno successivo e scopriamo le recenti osservazioni
scientifiche hanno fatto capire che l’attività dell’Etna ha cominciato a
cambiare.
Un flusso di lava calda dell’Etna durante l’eruzione del 2001.
L’inusuale violenza dell’eruzione dell’anno successivo (ottobre 2002),
con fontane di lava alte fino a 1 km, polveri e gas sembrano dire che il
vulcano sta cambiando e non attinge più soltanto dalle profondità del
mantello.
Studiando la composizione del suo magma, Pierre Schiano, Roberto
Clocchiatti, Luisa Ottolini e Tiziana Busà hanno infatti scoperto che
l’Etna sta attraversando una fase di transizione, che lo sta facendo
diventare un tipo di vulcano diverso, con un’attività più intensa ed
esplosiva.
Da questo periodo si passa all’anno 2008,anno in qui è iniziato un
grande Minimo Solare di come non se ne vedevano da almeno 3 secoli e
anche l’attività dell’Etna e dello Stromboli cominciano a cambiare.
Il 13 maggio 2008 sull’Etna inizia una fase caratterizzata da attività
eruttiva piuttosto intensa. Si apre una frattura a quota 2800 m, alla
base orientale del cratere di nord-est. Si tratta di attività vulcanica
stromboliana con emissione di flussi lavici ben alimentati, che si
riversano nella Valle del Bove.
L’eruzione a cavallo tra il 2008 ed il 2009 è stata l’eruzione più lunga
degli ultimi 10 anni fatta eccezione per la famosa eruzione del 1991/93
che ha avuto una durata di 473 giorni contro i 418 giorni di quest’
ultimo evento.
Anche lo Stromboli con l’arrivo del Minimo Solare ha cambiato la sua attività.
Lo Stromboli è un vulcano esplosivo che erutta circa ogni ora, ma il 7
settembre 2008 la normale attività è stata interrotta da un evento di
maggiore intensità.
Proprio da questo avvenimento, nasce uno studio dell’Istituto Nazionale
di Geofisica e Vulcanologia (INGV), in collaborazione con l’Università
di Wurzburg, in Germania e l’Univeristà di Bari.
Si tratta di una ricerca, da poco pubblicata sulla prestigiosa rivista
internazionale “Journal of Geophysical Research” e dal titolo “The 7
September 2008 Vulcanian explosion at Stromboli volcano: Multiparametric
characterization of the event and quantification of the ejecta”, che ha
permesso di calcolare che il rilascio di energia cinetica degli eventi
eruttivi “maggiori” è almeno dieci volte più alto di quello registrato
nel corso dell’attività esplosiva persistente, che caratterizza questo
vulcano.”
Successivamente nel 2009 abbiamo avuto il forte terremoto all’Aquila.
Il terremoto dell’Aquila del 2009 consta di una serie di eventi sismici,
iniziati nel dicembre 2008 e non ancora terminati, con epicentri
nell’intera area della città, della conca aquilana e di parte della
provincia dell’Aquila.
La scossa principale, verificatasi il 6 aprile 2009 alle ore 3:32, ha
avuto una magnitudo momento (Mw) pari a 6,3 (5,8 sulla scala della
magnitudo locale), con epicentro alle coordinate geografiche
42°20′51.36″N 13°22′48.4″E ovvero nella zona compresa tra le località di
Roio Colle, Genzano e Collefracido, interessando in misura variabile
buona parte dell’Italia Centrale. Ad evento concluso il bilancio
definitivo è di 308 vittime, oltre 1600 feriti.
Da qui i segnali di attività nell’area delle Eolie continuano anche a
Lipari nella quale sembra che negli ultimi anni ci sia una certa
attività sismica,forse legata al movimento del magma all’interno del
sistema vulcanico.
Negli ultimi anni l’isola di Lipari è stata interessata da cospicui
terremoti come quello che nel 2010 di i 4.5 gradi causò un’imponente
frana.
L’epicentro del sisma, secondo l’Istituto nazionale di geofisica e
vulcanologia, è stato in mare, a 19 chilometri di profondità e a sei
chilometri da Lipari. ”Un terremoto superficiale”, lo definiscono gli
esperti, che rappresenta un’anomalia per la zona ”abituata” a eventi
sismici profondi.
Anche ieri infatti un terremoto di 3.4 è stato registrato poco dopo le 2
di notte dai sensori della Rete Sismica Nazionale dell’INGV nel
distretto delle isole Lipari. Il terremoto è avvenuto ad una profondità
di 16,5 Km ed è stato avvertito nei comuni di Leni, Lipari e Santa Maria
Salina nel Messinese.
“Negli ultimi giorni al largo delle isole Eolie si sono infatti verificati ben tre eventi sismici.
Il primo è stato registrato il 24 aprile alle 18.35. L’evento è stato
localizzato dalla Rete Sismica Nazionale dell’Istituto Nazionale di
Geofisica e Vulcanologia nel distretto sismico: Isole_Lipari con una
magnitudo 2.8 gradi della scala Richter.
La scossa è stata segnalata a 130 chilometri di profondità e ha
interessato i comuni di Leni, Lipari, Malfa, Santa Marina Salina, tutti
nel messinese.
Un’altra scossa di maggiore entità, di magnitudo 3.4 gradi della scala
Richter, è stata registrata ieri 25 aprile alle 2.42 del mattino. Il
distretto sismico interessato dall’evento è stato lo stesso della prima
scossa, il distretto Isole_Lipari, stavolta però ad una profondità di
soli 16,5 chilometri.
Un’ultima scossa è stata infine registrata dall’INGV stamattina alle
7.40. Il distretto sismico è sempre quello denominato Isole_Lipari.”
A LIPARI si trovano molti crateri di vulcani spenti da secoli, la parte
vulcanica più appariscente sono le cave di pomice, un materiale leggero
ed inerte bianco che conferisce ad alcune zone un aspetto lunare. E poi
tracce ovunque di fenomeni vulcanici, come alle fumarole del Caolino, la
bocca di aria calda a Piano Greca, le Terme di San Calogero.
Qualcosa nell’attività delle Eolie stà chiaramente cambiando.
Nel corso del 2011-2012 l’attività dell’Etna si era intensificata con
una forte frequenza delle sue eruzioni e un’incremento dell’attività
sismica.
A maggio infine è arrivata la scossa in Emilia,in’area prima ipotizzata
inattiva,di magnitudo 6,1 in Emilia,il più forte da 5 secoli.
Fatto interessante è che questa sorta di riattivazione dell’attività
geologica del Mediterraneo sembra propagarsi con la spinta
dell’Africa,da sud verso Nord.
E fatto ancor più incredibile è quanto stà accadendo al sottosuolo dell’Emilia Romagna.
Particolarmente impressionanti i rilievi geochimici a Medolla, dove sono
state riscontrate delle anomalie di temperature e flussi di metano. Il
mais cresce meno rispetto ad altre zone circostanti, la temperatura nei
primi strati del sottosuolo è di +44°C e i topi stanno morendo.
Impressionanti anche le fratturazioni superficiali e la liquefazione
nelle campagne nei pressi di San Carlo, e le immagini dei danni a
Rovereto sulla Secchia, Novi di Modena, Cavezzo, Moglia, Concordia e
anche al Castello di Galeazza (Bologna) e alle Torri di Bologna,
costantemente monitorate.
Questo stesso anno si è avuta la riattivazione in Grecia del vulcano Santorini,che ha dato lampanti segni di attività.
Il bacino vulcanico di Santorini sta mostrando segni di ripresa
dell’attività vulcanica. Secondo i ricercatori del Georgia Institute of
Technology,gli strumenti di ricerca satellite suggeriscono che un
accumulo di circa 14 milioni di metri cubi di lava ad una profondità di 5
chilometri si sia svolto tra settembre e gennaio scorso.
Mentre un’altro vulcano in Italia che stà dando segni di importanti
attività in quanto non erutta da 10.000-20.000 anni è il sistema
vulcanico dei Colli Albani che da decenni si stanno sollevando sotto la
spinta di volumi di magma in accumulo nella camera magmatica.
In particolare un pericolo potrebbe essere rappresentato dal Lago di Albano.
Le frequenti deboli scosse sismiche e l’innalzamento del terreno di 30cm
negli ultimi 40 anni sono altri fattori che testimoniano l’attività
dell’edificio vulcanico. La zona è sotto monitoraggio continuo ma quello
che impensierisce in particolare gli esperti sono, appunto, le recenti
ricostruzioni in 3D dei fondali del Lago Albano, perché hanno
evidenziato la presenza di frane sommerse che potrebbero dar luogo a un
violento rollover.
“Per questo monitoriamo di continuo la temperatura del lago utilizzando
dei sensori posti fino a 160 metri di profondità, vicino al cratere più
giovane” dice Maria Luisa Carapezza, vulcanologa dell’INGV. “Ogni tre
mesi, invece, effettuiamo l’analisi sull’acidità delle acque, che è
indice indiretto sull’aumento di anidride carbonica”. Il monitoraggio
del ph però si fermerà a breve per mancanza di fondi.
E non si sa con quali conseguenze.
Mentre più a Sud c’è pensare anche sul Vesuvio e i Campi Flegrei.
Questi ultimi hanno fatto sentire un importante segnale nel lago di Averno nei mesi scorsi.
”Sono morti per mancanza di ossigeno e non per fattori di inquinamento i
pesci del Lago d’Averno”. Lo afferma l’assessore all’Ambiente della
Regione Campania Giovanni Romano, alla luce delle analisi dell’Arpac che
aveva provveduto a sollecitare proprio al fine di far luce sulla
questione. ”A determinare il decesso di alcune specie – aggiunge Romano –
sono state la presenza di idrogeno solforato, che deriva dall’attivita’
vulcanica sottostante il lago, e la contemporanea crescita delle
microalghe.
Come si è visto pare che l’attività vulcanica nel Mediterraneo sia
aumentata nell’ultimo decennio,stessa cosa vale per l’attività sismica,
Nei prossimi decenni si potrebbe sperimentare un significativo
incremento dei forti terremoti anche in aree prima non considerate
sismiche,mentre non è da escludere la riattivazione di nuovi sistami
vulcanici prima quiescienti da secoli o anche millenni.